
di Tommaso Bortolotti
Elizabeth, prima opera di Ken Greenhall datata 1976, è un romanzo dedicato ad una strega, e ne porta tutta l’ambiguità. Storicamente le streghe hanno sempre abitato una sorta di spazio transizionale, un’area intermedia in cui realtà, fantasia e suggestione si sono vicendevolmente compenetrate, ricoprendo l’immagine della stregoneria di un alone di mistero, superstizione, paura, persecuzione e sensualità.
I toni del romanzo portano da subito il lettore in questa dimensione presentando la storia di Elizabeth, protagonista e voce narrante, quattordicenne scaltra e intelligente, che mostra una conoscenza dell’arte della seduzione, amante del potere, introversa e cinica, alle prese con misteriosi fenomeni paranormali e costantemente in dialogo con l’immagine di una donna che le appare allo specchio, Frances. Il romanzo si apre con il racconto della morte dei genitori di Elizabeth, a cui la protagonista sembra alludere con freddo piacere, e prosegue con la storia del soggiorno a casa della famiglia del fratello del padre, James, con cui la protagonista ha una segreta relazione sessuale. Nel proseguimento del romanzo Elizabeth racconterà una crescita che rappresenta un avvicinamento sempre maggiore a Frances e ai suoi poteri, una scoperta di numerosi segreti e tradimenti all’interno della famiglia, l’incontro con figure enigmatiche, relazioni sessuali caratterizzate da sado-masochismo e ambiguità.
Di Elizabeth colpisce fin da subito lo stile narrativo, asciutto e cinico, disinteressato ai legami affettivi e al significato delle esperienze vissute. La descrizione sembra essere quella di una mente che trova vitalità e senso soltanto attraverso le esperienze di potere e sottomissione dell’altro, o nell’intimità con Frances, immagine allo specchio investita di eccitamento sensoriale, funzionale a riparare una ferita narcisistica di un mondo vuoto, noioso e privo di senso. Tale funzionamento si riflette in una prosa che mette in primo piano il dato sensoriale “nudo e crudo”, generando nel lettore una sorda e costante inquietudine.
Fredda, cinica e scaltra, Elizabeth sembra custodire nelle sue arti magiche e nell’intelligenza caratteristiche che riesce a sentire come proprie, vitali, uno stralcio di verità che custodisce come un privato tesoro.
Tornano alla mente le parole di Winnicott rispetto all’aggressività dei bambini, mezzo per conoscere il mondo, per distruggere gli oggetti in fantasia al fine di ritrovarli nella realtà. È la risposta dell’oggetto a fare della pulsione infantile un messaggio, una via di comunicazione, un’esperienza di vitalità e di reciprocità. Senza questa risposta il messaggio non può che cadere nel vuoto, generando una sorta di cortocircuito in cui la pulsione gode di sè stessa, e trova soltanto in una scarica che punta all’azzeramento della tensione, senza oggetto, la propria via d’espressione (Ogden, 2022; Fabozzi, 2024). È un funzionamento prevalentemente narcisistico quello di Elizabeth che, nell’incontro sessuale, gode soltanto dell’altrui sottomissione e della sensazione di poter usare quel piacere al fine di salvaguardare il suo potere sull’altro; attraverso gli incontri con animali, che assomigliano ad esplorazioni del proprio corpo, e attraverso il mondo onirico e sensoriale degli scambi con Frances, si dilunga in fantasie di potere e dominio.
Nella famiglia allargata di Elizabeth ciascun membro sembra essere custode di un segreto eccitante e traumatico, e parte della storia è caratterizzata dalla curiosità morbosa di accedere all’origine dei poteri che sembrano tramandarsi da generazioni. Tale configurazione ricorda i messaggi traumatici che vengono depositati da una generazione all’altra, senza origine, senza storia, ma che trovano via d’espressione inconscia attraverso uno dei membri della famiglia che funge da paziente designato (Racamier, 1993).
La storia di Elizabeth è la storia di un’adolescente che, per farsi soggetto, non può che costruire dalle fondamenta che ha ricevuto.
La ragazzina, in tutta la sua epopea, sembra in cerca di soggettivazione, ma nessuno all’interno di quella famiglia sembra interessato davvero a comprenderne la complessità. Tra gli inconsistenti buonismi di Miss Barton, interessata solo ad una sedazione dell’aggressività di Elizabeth, le assenze e la freddezza di mamma e papà, gli appetiti sessuali di James, le inconsistenti chiacchierate con il Dottore, al riparo all’interno delle sue teorie e occupato dall’idea di far tornare i conti, Elizabeth non può trovare niente di Sè nello sguardo dell’altro. L’unico elemento di riconoscimento sembra essere una diffidenza, eccitazione o paura verso i poteri, segreto traumatico di cui Elizabeth si fa portatrice. La strada per la soggettività, dunque, non potrà essere che quella di essere un mezzo attraverso il quale i poteri possono compiersi nella loro totalità.
Nasce la strega, muore psichicamente Elizabeth e, il finale, ne è un’accurata rappresentazione.
Nasce un’adolescente che raccoglie e interpreta ciò che era stato pensato prima e nonostante lei, il deposito transgenerazionale delle identificazioni proiettive famigliari; muore una soggettività con le sue idee, la sua possibilità di essere diversa e, in ultima istanza, Se stessa.
“Non voglio il suo aiuto. Mi aiuterà Frances.
Frances non mi ha mai detto cosa fare o credere.
A Frances non interessa cosa è giusto o sbagliato,
ma semplicemente quello che sono.” (Elizabeth)
Per approfondire:
Bion, W. (1962). Apprendere dall’esperienza. Armando Editore, Roma (2009).
Fabozzi P. (2024). Dispiegando i margini. Franco Angeli, Milano.
Greenhall, K. (2024). Elizabeth. Adelphi, Roma.
Ogden, T.H. (2022). Prendere vita nella stanza d’analisi. Raffaello Cortina Editore, Milano.
Racamier P.C. (1993). Il genio delle origini. Raffaello Cortina Editore, Milano (2019).
Racamier P.C. (1994). Incesto e incestuale. Franco Angeli, Milano (2023).
Winnicott D. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando Editore, Roma (2013).