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Bello da paura: il fascino dell’horror e la trasformazione del trauma

By 6 Novembre 2023 No Comments
Immagine: J.H. Füssli, L’incubo, 1781.

 

In un precedente articolo mi ero soffermato a considerare l’importanza delle emozioni, incluse quelle che comunemente etichettiamo come negative, valorizzando il loro ruolo nel regolare la vita soggettiva e favorire l’adattamento dell’individuo al proprio ambiente. Più specificamente, le emozioni cosiddette negative nella letteratura scientifica sono associate a risposte aversive, ovvero di allontanamento da un oggetto, in contrapposizione alle risposte appetitive, che inducono invece l’avvicinamento verso un oggetto. Per estensione possono essere definite aversive le emozioni rivolte a un oggetto pericoloso oppure ostile che quindi generano una congruente risposta di allontanamento.

Nel suo lavoro classico, Kolnai (1929) include tra le emozioni aversive la paura, il disgusto e l’odio, quest’ultimo classificato più recentemente dalla psicologia come sentimento, perché associato ad atteggiamenti e comportamenti stabili e duraturi. Paura e disgusto, invece, sono considerate emozioni in virtù della loro importanza evolutiva per la sopravvivenza della specie umana: infatti vengono espresse e riconosciute da tutte le culture; inoltre, hanno una durata breve. Le risposte emotive sono quindi immediate, viscerali, neurobiologicamente determinate.

Nella classificazione diagnostica, se il disgusto non trova una specifica collocazione, la paura ha invece il suo posto di rilievo nei disturbi d’ansia. L’esempio più calzante sono le fobie specifiche, dove si osserva nella persona una paura o ansia marcata verso un oggetto o una situazione specifici. In realtà la paura, e in generale le emozioni aversive, possono avere un ruolo importante non solo in diverse problematiche e disturbi, ma anche in tutte le forme di sofferenza e nella comune esperienza di ciascuno di noi. La paura del futuro, del giudizio altrui, della solitudine, e via dicendo, sono manifestazioni non necessariamente disfunzionali. Quindi ribadiamo che le emozioni non sono di per sé “patologiche”, anzi, sono fondamentali nella nostra quotidianità!

A questo punto, se paura e disgusto non sono “cattive” né “spiacevoli” di per sé, ci potremmo interrogare su una questione al contempo intrigante e controversa: perché a volte ci piace provare paura o disgusto? Perché alcune persone vanno di proposito alla ricerca di stimoli o situazioni odiate o temute? In un mondo dove, purtroppo, il vero terrore esiste, perché avvicinarsi a ciò che comunemente fa provare repulsione? Non è possibile dare una risposta definitiva ed esaustiva a queste domande, ma possiamo riflettere su alcuni spunti. 

L’arte nelle sue varie espressioni ha da sempre esplorato il rapporto con le parti oscure dell’umano. Tra tutti i generi, l’horror ha per definizione il proposito di incutere paura o disgusto. Perché, pur trattando argomenti potenzialmente disturbanti come la violenza e la morte, l’horror ha un così forte appeal per molte persone? Proviamo a vivisezionare l’anatomia della suspense: la lettura è sconsigliata a persone sensibili!

L’horror offre la possibilità di sperimentare emozioni intense senza venire davvero a contatto con un pericolo reale. A questo si associano alcuni correlati fisiologici come i picchi di adrenalina e l’incremento della frequenza cardiaca, che trasmettono un senso di eccitazione. 

Un aspetto importante dell’horror è anche il senso di mistero e la suspense, che solleticano la curiosità umana. Spesso le scene rappresentate trasgrediscono i limiti della moralità e le convenzioni sociali, quindi sono spesso l’unico modo di esplorare, senza conseguenze, alcune fantasie, mantenendo un senso di controllo su pulsioni vissute come potenzialmente pericolose. Alcuni personaggi classici dell’horror, come zombie e vampiri, esercitano sul pubblico un fascino sinistro, che viene apparentemente convertito in sollievo quando vengono sconfitti, spesso in modo violento, dai protagonisti “buoni”. In altri casi, sono proprio i personaggi tipicamente positivi a trasformarsi in furie assassine. Stephen King ci ha regalato alcuni esempi davvero ben riusciti: Cujo, il docile San Bernardo che contrae la rabbia e diventa una belva feroce, oppure Annie Wilkes, l’infermiera di Misery che si rivela presto una spietata carceriera. 

Una teoria classica suggerisce che immedesimarsi in un’opera d’arte permette di scaricare emozioni solitamente represse o difficilmente accessibili: è il fenomeno della catarsi, noto già dai tempi di Aristotele. Al di là dell’horror, si può osservare che l’arte non ha solo a che fare col bello, né deve necessariamente suscitare sensazioni piacevoli o equilibrate. Il concetto di sublime, che nel Romanticismo si lega ai fenomeni violenti e terrificanti della natura, venne definito dallo scrittore Edmund Burke “l’orrendo che affascina”. Dobbiamo invece a Freud un bellissimo lavoro sul perturbante: questo termine esprime la convergenza di sensazioni di familiarità ed estraneità, evocate da qualcosa ritenuto rimosso ma che in quel momento affiora dal nostro inconscio, cogliendoci di sorpresa.

L’horror, nel suo essere perturbante, somiglia agli incubi: l’immagine o la scena rappresentata è una finzione, perché non è reale, ma l’emozione sì, c’è davvero. Permette di smuovere alcune di quelle fantasie che un po’ ci spaventano, un po’ ci attraggono, senza però imporci di pensare troppo: l’attenzione è spostata su quello che stiamo guardando, non su di noi. In questo senso, il perturbante contribuisce a elaborare traumi non risolti. Scrive Angelo Moroni: ”L’opera d’arte perturbante estrae evocativamente, per usare una metafora, gli scheletri dagli armadi inconsci del fruitore dell’opera, ma mentre li estrae allo stesso tempo li significa, cioè integra familiarità con estraneità, mettendo in scena l’angoscia di cui i personaggi e i racconti perturbanti sono intrisi. (…) Il Perturbante si muove sempre sul confine della ‘rottura del senso’, e di questo confine fa tuttavia il suo luogo d’elezione ed esplorazione.”

Come suggeriva lo psicoanalista Masud Kahn, prendere coscienza del trauma permette di trasformare il trauma in dolore. Il trauma, quando può essere raccontato, condiviso, rappresentato, allora diventa dolore. Trasformare qualcosa di oscuro e penoso in un’opera d’arte: questo è davvero… da brividi.

Per approfondire:

Oliver, M.B., & Sanders, M. (2004). The Appeal of Horror and Suspense. In S. Prince, The Horror Film, 2004, pp. 242-260. NY: Rutgers University Press.

Zillmann, D. (1980). Anatomy of suspense. In P.T. Vorderer, H.J. Wulff, & M. Friedrichsen (Eds.), Suspense: Conceptualizations, theoretical analyses, and empirical explorations, 1980, pp. 289-305. Londra: Routledge.

https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/perturbante-il/